Oratorio di San Benedetto

La struttura architettonica dell’oratorio di San Benedetto sembra, a prima vista, staccarsi completamente da quella della Basilica di San Pietro al Monte e non solo per le sue ridotte dimensioni. In realtà, un più attento esame dell’insieme fa scoprire che anch’esso è fondamentalmente legato agli elementi che richiamano il romanico lombardo già ricordati: il tetto a capanna, la navata ad aula romana, il presbiterio individuato da un’abside semicircolare ed i caratteristici elementi ornativi degli archetti pensili. Gli elementi che si discostano maggiormente dalla struttura principale sono le due absidi semicircolari che, all’interno dell’edificio, si scoprono essere invece due bracci semicircolari di un singolare transetto. Altre differenze che sottolineano la realizzazione posteriore dell’edificio sono la migliore qualità dei conci costruttivi e la decorazione a denti di coda di drago che si pongono fra le ardesie del tetto e gli archetti pensili a distinguere la parte esterna dell’abside. Dall’interno la visione appare ancor più caratterizzata da elementi innovativi.

Anzitutto si nota l’esiguità cui è ridotta la navata che sembra scomparire di fronte al grande spazio creato fra essa, il presbiterio alzato di un gradino ed i due bracci semicircolari di un transetto. Dalla parte centrale del transetto si elevano quattro colonne composite, di cui quella centrale tondeggiante, inserite nei fianchi dell’edificio, che non trovano giustificazione nella loro parte terminale. Infatti, esse non sostengono assolutamente nulla. In verità, originariamente, esse lasciano supporre che avrebbero dovuto, nella mente del costruttore, reggere una volta costolonata od una cupola di grandi dimensioni, che in realtà non fu mai costruita. I motivi di tale rinuncia possono essere diversi: incapacità tecnica, mancanza di fondi, avvenimenti storico-politici che ne consigliavano l’abbandono. La finitura con un semplice tetto a capanna deve essere quindi apparsa la più consona.

E l’oratorio è rimasto da allora anche completamente spoglio. Le pareti un tempo completamente intonacate, infatti, non recano traccia di decorazione pittorica o plastica rimarcando ancor più la contrapposta ricchezza di San Pietro. In essa comunque rimane un pregevole altarino decorato su tre fianchi. Su quello centrale è figurata una deesis di tipo orientale o bizantina. In essa infatti, a differenza delle due deesis già presenti sul ciborio della basilica e sulla parete centrale della cripta, il Cristo è risorto e si erge nel gesto benedicente e col libro della parola fra Maria e San Giovanni. Il volto del Cristo e gli occhi dei due santi sono stati nel tempo rovinati dai fedeli. Sul fianco sinistro dell’altare una immagine di San Benedetto chiaramente dichiara la sua identità e la sua santità. Su quello sinistro invece è rappresentato Sant’Andrea. Il santo aveva dedicato nella penisola di Isella uno degli oratori certo più antichi appartenenti al monastero. La deesis orientale e la presenza di Sant’Andrea tuttavia ricordano un altro aspetto importante. Entrambe sono immagini simboliche legate al “dopo morte”; Sant’Andrea è anche il terzo santo delle litanie funebri, dopo San Pietro e San Paolo, già ricordati a loro volta nella dedicatio della basilica montana. Tutto ciò suggerisce che l’oratorio non solo abbia avuto una funzione di sostituzione della cripta come cappella hiemalis, ma fosse utilizzata come cappella funebre. I resti umani che sono stati esumati nel prato all’intorno fanno infatti supporre che proprio lì fosse collocato il camposanto del monastero.

Un’ultima traccia di affreschi è visibile sulla parete dietro l’altare. Questi affreschi non risalgono però al momento della costruzione e decorazione di San Benedetto. Essi sono i resti di una icona che rappresentava la crocifissione, realizzata fra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 su indicazione prima di Carlo Borromeo e quindi del cugino Federico Borromeo arcivescovi di Milano. È una indicazione annotata negli atti di visita di quegli anni, comune anche a tutte le altre chiese. A fine ottocento, il Barelli, che fu uno dei primi restauratori di San Pietro al Monte, si accorse che per la sua realizzazione era stata chiusa una monofora delle tre che decoravano e davano luce all’abside. Semplicemente l’ha riaperta eliminando quasi tutto l’affresco!